Uomo vero cerco, di Franca Pichierri

 

                                                                          “Che vita grama!” Le parole mi sfuggono a voce alta. Ma è la verità, purtroppo. Mi ritrovo a 53 anni sola, senza lavoro e quasi senza amici. Non che il mio carattere sia dei migliori, ma ormai me lo tengo così com’è. C’è solo Neve a farmi compagnia. Neve è una gattina bianca dagli occhi azzurri, una pallottola di pelo arruffato quando l’ho presa, ora una gatta quasi adulta di 8 mesi, anche lei col suo bel caratterino.

Ma torniamo a me e alle mie disgrazie. Non ho un lavoro fisso da sei anni, ormai. Campo alla bell’e meglio con lavori a termine. Mi sono abbassata ad accettare contratti di un giorno, di un’ora. Valeva più la carta su cui c’era scritto il contratto che non il guadagno effettivo del mio lavoro. Se si può chiamare lavoro fare le pulizie, ma con la crisi si accetta tutto quello che passa il convento. Sono qualificata, ho anni di esperienza in più di una mansione, ma niente. Sono vecchia per il mercato del lavoro e per me è doppiamente difficile trovarlo. Ma, cara Lisa, dovrai trovare una soluzione a tutti questi casini, altrimenti finirai sotto un ponte! Grazie tante, ma lo so bene anch’io…. Questa eclatante esortazione mi viene dalla mia immagine riflessa nello specchio. Ogni mattina, quando sono in bagno a lavarmi, mentre mi trucco o mi lavo i denti ho delle dotte conversazioni con me stessa. A volte mi conforto e a volte mi sgrido, a seconda della giornata o di come mi sono svegliata. Sarà normale? Non lo so, spero di sì.
Se non avessi mia madre che mi aiuta non so veramente come farei. Ma decurtare la pensione di una vecchia signora non è bello… sono stufa di approfittare di lei in questo modo.
E così, l’altra mattina, come se mi si fosse accesa una lampadina sopra la testa, come nei fumetti, ho avuto la più strampalata idea che mi fosse balenata in testa dopo quella assurda che ho avuto solo pochi giorni prima. Anzi, l’ ha avuta la Me riflessa nello specchio.

La tipa mi fa:” Sai cosa devi fare per risolvere tutti i tuoi problemi? Devi farti suora laica. Hai vitto, alloggio e finiresti a fare quello che hai sempre fatto di mestiere, assistere gli anziani e badare ai bambini. Geniale, no?”
Mi stavo passando l’acqua di rose sul viso e ho fatto una faccia strana.
“La suora laica? Io? Ma come potrei farlo? E gli uomini, dove li metti?”
“Uomini? Ma se sono tre anni che sei sola come un cane, e l’ultimo straccio di uomo che hai avuto se l’è data a gambe dopo nove settimane e mezzo! E ti ha lasciata per e mail, pure! Neanche una telefonata si è degnato di farti. Fidati, l’idea della suora laica è la migliore.”
Ho fatto una faccia ancora più strana e stavo per rispondermi per le rime. Poi ho realizzato che avrei sgridato solo me stessa: una perdita di tempo. Ho accantonato l’idea di prendere i voti, anche perché dubito che un’agenzia di lavoro interinale tratti assunzioni per suore laiche.

La vera idea mi è balenata pochi giorni dopo, mentre navigavo in Internet. Dopo anni persi a chattare con mentecatti sessuomani, la soluzione era…. mettere un annuncio per cuori solitari, trovare un uomo e farmi sposare!
Geniale. Un uomo non troppo brutto e non troppo vecchio, ma neanche giovane. Non ho più la pazienza di stare dietro agli uomini, ora che li conosco bene. Tutti uguali.
Un uomo benestante, che mi faccia fare la signora. Disposta a trasferirmi, ovviamente. La mia città di provincia offre ben poco. Ho cercato un sito di annunci poco conosciuto, per non ricevere troppe risposte da gente strana. Ne ho trovato uno mai visto prima. Ho pensato a frasi di effetto, ma non troppo sdolcinate. Dopo varie elucubrazioni ho scritto: ”Sono una donna ancora giovane che cerca con fiducia e disincanto un uomo che mi ami, nonostante tutto. Ho 53 anni ben portati, dicono bella donna. Mi piace leggere, cucinare. Amo il cinema.”
Ho spinto con decisione

il tasto invio sulla tastiera. Fatta: ora vediamo se qualcuno si farà vivo per e mail. Non ho messo la foto apposta, per non attirare i soggetti di cui sopra che trovavo in chat.
Per e mail? Dopo neanche due ore ho cominciato a ricevere telefonate sul cellulare. Uno persino dalla Germania.
Hanno pubblicato anche il mio numero! Io l’ho messo perché pensavo fosse la procedura, ma non avrei mai pensato che lo rendessero visibile… Un disastro. I primi tre giorni li ho passati al telefono. Mi ci voleva la segretaria…. Ho parlato con uomini di varia età, di varie parti d’Italia. Poi, finalmente, è arrivato LUI: voce bassa e modulata, giovane. Non mi ha detto l’età ma a naso doveva avere sui 45, anche meno. Abbiamo cominciato a parlare, poi siamo passati ai messaggi in chat. Ho potuto vederlo in foto. Carino, bella faccia. Medico, lavora in ospedale ma ha anche lo studio privato. E’ lui! Ho pensato. Abbiamo parlato, parlato, parlato… mi amava, disse. Anch’io lo amo, mi sono detta… Poi, d’un tratto, sparisce. Il tutto mentre ricevo altre telefonate e parecchie mail, nonché messaggi sul telefono. Per fortuna scopro che nell’ antivirus del mio smartphone ho una funzione che mi blocca telefonate e messaggi indesiderati. Comincio a scremare gli intrusi.
Aspetto tre giorni che il b

el Paolo si rifaccia vivo… poi mi stufo e gli scrivo un messaggio ad effetto. Mi risponde subito, dicendomi che ha dei grossi problemi e che non può più parlare con me. Quanto mi amava!
Lo mando a quel paese ma

non metto il suo numero in rifiuto chiamata, non so perché.
Continuano a chiamare, mi assesto a quattro-cinque chiamate al giorno.
Mi piace parlare ma comincio a stufarmi di dire e chiedere sempre le stesse cose.
E, come tutte le cose inaspettate, succede: domenica, noia mortale. Mi stufo di guardare alla tv le televendite di gioielli che non mi posso permettere e che non comprerò mai. Chiudo e vado a letto a leggere un libro. La gatta mi si acciambella sullo stomaco, come sempre.
Dopo un po’ suona il telefono. Ce l’ho sempre vicino per abitudine e poi perché di domenica la gente è libera e cazzeggia su Internet e trova il mio annuncio e mi telefona.
Una voce simpatica comincia a parlarmi, e io parlo, e lui mi racconta, e io racconto. E’ proprio piacevole e sembra che ci conosciamo già. Solo il nome è terribile. Gianalberto, si chiama. Io odio i nomi lunghi. Ringrazio mia mamma che mi ha chiamato Lisa. La gatta si chiama Neve per una ragione.
Gliela butto lì: “Scusa ma io non ti chiamerò Gianalberto. Ti chiamo Jack, ok? Si fa prima ed è carino.”
“Ma sì, chiamami come vuoi. Accidenti, ma lo sai che è quasi un’ora che parliamo? E adesso, secondo te, cosa dovremmo fare?”
“In che senso, scusa, non ti capisco. Più che parlare o messaggiare, cosa possiamo fare?
“Appunto, possiamo fare altro. Se mi metto in macchina adesso, tempo di fare una doccia e in tre ore sono lì. Ti porto a cena, che ne dici? Continuiamo di persona. Meglio, no?”
“Ma sei fuori? Non ci conosciamo neanche! Tu potresti essere un serial killer e io potrei finire come tante donne finiscono al giorno d’oggi… ne ammazzano una ogni tre giorni, sai..”
“Ma dai, non mordo mica! Mi sei piaciuta subito. Hai una bella voce, sei simpatica, intelligente. Allora, che ne pensi?”
Il tipo deve essersi fumato una bustina di te, forse ha finito la maria: è proprio uscito di testa!
Inaspettatamente, sento la mia voce che dice: “Ok. Ti prendo in parola: se parti alle tre e mezzo da Mantova, per arrivare a Monfalcone, da me, quanto ci metti?”
“Circa tre ore, credo. Ma come faccio a trovarti?”
“Quando sei al casello di Monfalcone, chiamami. Ti spiegherò la strada.”
“Ok, allora è meglio che chiudiamo qui. Sarà meglio parlare guardandosi negli occhi, che ne dici?”
“Senz’altro, Jack. A dopo, allora!”
“Ok, a dopo.”

Oddio, cosa ho fatto? Ho accettato di conoscere uno mai visto, che si sparerà sei ore di autostrada fra andata e ritorno, solo per…. già, il motivo? E il mio, di motivo? Curiosità, idiozia?
No, credo solo che la mia sia solo voglia di qualcosa di nuovo, dopo anni di vita piatta.
Con decisione vado in camera da letto e spalanco l’armadio, in cerca di una mise decente. Decente nel senso che sono anni che non mi compro un vestito che non sia in saldo. Per giunta sono ingrassata parecchio e la scelta è veramente poca. Dopo varie prove opto per un tailleur molto sobrio, ma non da zitella. Non propongo scollature ammiccanti, il tipo non deve fraintendere. Se lo incoraggio a saltarmi addosso, lo fa di sicuro. Calze coprenti per coprire le fruste. Non ho tempo di depilarmi, sarei come una carta geografica, dopo. Ho la pelle delicata.
Nel frattempo ho acceso il phon in bagno, per la doccia. Il riscaldamento in casa mia ha una personalità tutta sua e se voglio farmi la doccia devo avere l’aiutino. Non disponendo di una stufetta, il phon è il meglio che ho trovato : bastano dieci minuti, il tempo di decidere che scarpe mettere. Tacchi no, sono una papera e poi le mie caviglie non li reggono. Scelgo le polacchine nere, molto carine e con un tacco medio.
Con molto anticipo sono pronta. Non sono brava a truccarmi e spero che noti soltanto il verde dei miei occhi. Mi metto un po’ di ombretto e tanto mascara, sperando che basti.
Alle sei comincia a chiama re il Jack. Sono qui, sono lì, mancano cinquanta km a Monfalcone…
Mi do una mossa e comincio ad avviarmi verso la stazione, appuntamento classico quando vuoi farti trovare da una persona che viene da fuori.
A piedi, perché ho tempo e non ho un biglietto dell’autobus. Lo scooter è morto, dopo due mesi di inutilizzo causa inverno.
Dopo cinque minuti che cammino suona il telefono.
“Ciao Lisa, io ho lasciato l’autostrada e ho seguito un cartello per Monfalcone, ma adesso mi ritrovo in una stradina anonima, mi sono perso… Che faccio?”
“Ascoltami. Vai ancora avanti per un po’ fino al prossimo cartello, e dimmi cosa indica, ok?”
“Ok, ma tu non lasciarmi! ”
“Ma no, dai! Io sto già camminando verso la stazione. E’ lì che devi venire, capito? Ora guarda il prossimo cartello, ok? Poi richiamami.”
“Eccolo, eccolo, c’è un cartello! Dice, dice… Villaggio del Pescatore.”
“Oh, no, Jack! Stai andando verso Trieste! Devi tornare indietro. Fai inversione e resta sulla statale. Devi oltrepassare un grande negozio dove vendono di tutto, lo avrai alla tua sinistra. Poi alla tua destra troverai il raccordo per tornare in autostrada. Va’ ancora avanti, ad un certo punto troverai un grande crocevia con un semaforo. Devi andare dritto. Se giri a sinistra vai a Grado. Vai dritto e poi troverai i cartelli che ti indirizzeranno alla stazione, ok?”
“Ok. Appena ho oltrepassato il semaforo ti chiamo.”
“Non serve, perché sei quasi arrivato, ma se vuoi….”
“Voglio. A fra poco.”

Bel tipino, l’uomo. La voce è simpatica, vediamo com’è di persona. Sono arrivata in stazione, finalmente. I tacchi cominciano a far protestare i miei poveri piedi, abituati a sneakers e ballerine. Mi faccio forza e mi piazzo nei pressi delle porte principali della stazione. Un secondo dopo suona il telefono per l’ennesima volta: è lui, ovviamente.
“Ok, credo di essere sulla strada giusta. Sì, sì, intravedo la stazione… Ho chiesto lumi anche ad una signora che mi ha spiegato bene. Ma come ti riconosco?”
“Oddio, non ci ho pensato…. Non avrò in mano una rosa rossa, come nei film…. Ho un cappotto nero, sono proprio davanti alla porta principale della stazione e… sono al telefono!”
“Giusto…. Oh, eccoti!”
Una berlina nera lampeggia e si accosta. Mentre la portiera si apre, faccio un respiro profondo per farmi coraggio e prego che non sia come il suo omonimo che le donne le accoltellava, per sport.

Un viso simpatico, non propriamente bello ma piacevole. Unico neo: ha la barba, anzi il pizzetto. A me non piacciono gli uomini con la barba. E’ anche più anziano di quello che sembrava dalla voce. Ma sfodero il mio miglior sorriso e mi siedo accanto a lui, che riprende subito la corsa.
“Allora, cosa preferisci? Prima un aperitivino, o andiamo direttamente a cena?”
“No, andiamo direttamente a cena, l’aperitivo semmai lo prendiamo lì.”
Giusto. Gli chiedo se preferisce carne o pesce, se preferisce il ristorante figone o la bettolaccia. Preferisce la bettolaccia. Mi sta già simpatico. Io ci ho lavorato anni in un ristorante figone ed era tutto fumo e poco arrosto, in tutti i sensi.
Faccio uno sforzo di memoria perché sono tre anni che non vado a cena con un uomo… Trovato! Una piccola trattoria che si da’ qualche aria da ristorante, con piatti buoni di carne e prezzi ragionevoli. Non voglio farlo spendere troppo. Se va male mi maledirà il doppio, perché oltre i seicento km macinati, gli sarò costata un patrimonio….
In dieci minuti siamo in un paesino vicino a Monfalcone, sulla strada per Grado. Fa molto agriturismo, oggi va di moda; ci accomodiamo al tavolo. Mi siedo in modo da averlo davanti, non di fianco. Voglio studiarlo bene, anche il suo linguaggio del corpo. Sono abbastanza brava come psicologa. Talmente brava che sono sola come un cane e l’ultima amica se l’è data a gambe.
Insomma, non voglio stargli proprio vicina vicina per non dargli strane speranze, tipo che vado a letto con lui la prima sera. Io ho regole fisse: niente sesso, al primo appuntamento: neanche un bacio.
Ordiniamo vino rosso e aperitiviamo così. Mi lascio consigliare da lui. Conosce i vini, che bello! Io li vendevo al telefono senza averli mai assaggiati, e ancora adesso dopo anni mi chiedo come ci riuscivo. Comunque è proprio di compagnia, sa parlare e fare con la gente. Mi racconta che ha una piccola ditta di rappresentanza… di vini – ah, ecco – che non è ricco ma che vive bene. E’ vedovo e ha una figlia già sposata. Due nipotini. Ne parla con tenerezza. Bene, vuol dire che ha un cuore gentile.
Gli parlo di me ma resto sul vago, non faccio confidenze e non mi dilungo a raccontargli la storia della mia vita. Non voglio farlo scappare subito. L’ho scelto fra settanta uomini che mi hanno risposto. Certo, è stato l’impulso di un momento, ma sembra, finora, che il mio istinto abbia visto giusto…
“Caspita, era tutto ottimo. E questo vino del Collio… Proprio buono… Dovrò allargare il mio catalogo. “
Abbiamo mangiato di gusto e brindato altrettanto. Ci siamo fatti fuori una bottiglia in due… Va beh, mangiando, ma io mi sento già sull’euforico… se l’alcool mi fa perdere i freni inibitori, sono fritta come le patatine che pilucco senza più tanta voglia.
Il cameriere, con un orribile riporto in testa, viene e con aria affettata ci chiede se vogliamo dolce, caffè o amaro.
“Oh, no, grazie! Ho gradito tutto, ma adesso non mi sta più niente… un caffettino lo berrei, però.”
“Ok, allora facciamo un caffè per la signora e per me un amaro.”
Che carino, ordina lui per me, come i gentleman di una volta!
Ma è comprensibile. Mi dice di avere 64 anni, anche se non glieli do proprio. E’ un uomo vivace, vestito bene, che guida una macchina da ragazzi e non fa capire assolutamente la sua età, né dagli atteggiamenti né dai suoi discorsi. Comincia a piacermi.
Bevuto il caffè e l’ammazzacaffè io vado in bagno e lascio che lui si occupi del conto. E’ una scusa per ripigliarmi e raccogliere idee e sensazioni.
Lo specchio del bagno mi viene in aiuto. LaMe mi guarda dallo specchio e dice, sardonica:” Ma non vedi che è un vecchio? Meriti di meglio, sorella. Piantalo in asso e cercatene uno più giovane! Ti telefonano in tanti, ogni giorno…. Proprio il più vecchio ti vai a rimorchiare? Sei patetica.”
“Oh, senti tu! Primo, non è tanto vecchio. Perché io, io sono giovane? Le panterone della mia età che vanno con ragazzi che potrebbero esser loro figli mi fanno pena. Loro sì, che sono patetiche. No, non lo lascio perdere: è gentile, è carino. Sei tu quella che deve andarsene, e subito!”
Sembro una pazza. Sto qui da sola, ad inveire contro lo specchio, o meglio, contro la mia immagine: mi ripiglio con decisione, controllo che il mascara non mi sia colato facendomi gli occhi da panda, come al solito, ed esco. Lui è già in piedi che mi aspetta. Oddio, chissà cosa penserà? Penserà che mi sono rinfrescata il trucco, che poi è la verità.
Faccio finta di niente, anche se le poche battute scambiate con la parte peggiore di me mi hanno un po’ scossa. Va bene dire la verità, ma quando te la sbattono in faccia con malgarbo, fa effetto.
“Tutto a posto? ok. Ma che ora abbiamo fatto? Le undici. C’è un posto dove bere un drink?”
Io lo guardo perplessa. In una serata come questa ci vorrebbe un bel piano bar, come negli anni ’80. Trent’anni dopo ci sono i disco bar, orribili posti pieni di gente e musica a palla che ti schianta il cervello più dell’alcool.
“Mi metti in difficoltà. A questo punto andiamo a Grado, ormai siamo vicini. Siamo ancora fuori stagione ma un pub o un locale lo troviamo.”
“Ok, mostrami la strada.”

Siamo finiti in un triste baretto dietro la spiaggia; come sospettavo, fuori stagione è un mortorio.
Abbiamo parlato ancora, e ancora… Ad un certo punto, il Jack mi guarda negli occhi e mi fa: “Che ne dici, la finiamo qua o vieni a Mantova con me?”
Lo guardo come mi avesse proposto una rapina a mano armata. “Mamma mia, così, sui due piedi…”
Poi, sento ancora una volta la mia voce che dice:” Ok, ma se ci mettiamo in macchina adesso, a che ora arriviamo a casa tua?”
“Credo che per le quattro e mezza saremo lì… ora è l’una passata. Allora, affare fatto?”
“Affare fatto.”
Siamo passati prima da casa mia, dove mi sono cambiata indossando qualcosa di più comodo, e poi via, in macchina con uno sconosciuto a parlare di mille cose, a stare attenta a non sfiorarlo nemmeno con un capello, per non fargli mettere in testa idee strane.
Ma si è comportato da perfetto gentiluomo. Ci siamo fermati ad un autogrill per una mia colazione molto mattutina. Il nervoso mi ha fatto digerire in fretta tutta la cena. Ho una fame da lupa. Lui non beve caffè, lui odia il caffè. Io sono dipendente dalla caffeina. Divento ancora più guardinga, lo investo con fiumi di parole per fargli distogliere i pensieri dal fatto di accostare sulla corsia di emergenza e violentarmi lì, seduta stante.
Mi do della cretina. Finora si è comportato in modo squisito. Erano anni che un uomo non mi trattava così bene. Mi rido della cretina e siamo già nei pressi di casa sua. Abita un po’ in periferia. Il condominio è signorile e moderno.
Tipica casa da scapolo uomo: scarna, essenziale, minimalista. Appena entro nel soggiorno, penso che cambierei posto al divano, il mobile andrebbe di fronte al tavolo da pranzo…. Follia pura. Mi impongo la calma, respiro profondamente.
Adesso lui non ha più il cervello e le mani impegnate nella guida: è di fronte a me, mi fa sedere sul divano, mi offre un bicchiere d’acqua; torno in bagno per fare il punto della situazione. Evito accuratamente di puntare lo sguardo nello specchio. Ramanzine alle cinque del mattino non sono gradite.
Torno dal bagno e mi siedo rigida come un baccalà su una sedia. Lui resta sul divano.
In quell’istante mi rendo conto che l’ho fatta grossa: è l’alba, sono a casa di uno sconosciuto; ho tre euro nel portafoglio e non ho più nemmeno i tacchi che al limite possono diventare un’arma di difesa. Le unghie sono corte, me le mangio. Sono proprio nei guai.
Lui, ovviamente, si accorge che non mi passa neanche un ago.
“Che c’è, Lisa? Ti vedo nervosa. Non ti mangio mica…”
“Oh sì, figurati. No, mi sono resa conto che ho fatto una cosa un po’ azzardata. Erano anni che non mi buttavo in una situazione del genere… Adesso sono un po’ in imbarazzo, non so come comportarmi.”
“Allora facciamo una cosa. Io ho guidato per otto ore, abbiamo parlato tanto. Andiamo a dormire, e domani mattina vediamo cosa fare, va bene?”
“Dormire? Ah, sì, certo. Allora io mi sistemo qui sul divano…”
“Ma neanche per sogno! Tu sei ospite. Ci sto io sul divano.”
E’ proprio d’altri tempi, ma non per l’età. Mi fa mettere a mio agio, mi lascia sola nella sua camera. Io resto tutta vestita. Mi levo solo le scarpe e mi distendo sul piumone. Non mi addormento subito, io sono una insonne a periodi. Ora ne ho ben donde, di essere insonne: che razza di situazione! Lui russa beato, disteso sul divano. E’ rimasto vestito anche lui. Mi fa tenerezza: si è messo addosso il giubbotto, per scaldarsi. Io sono rannicchiata nel suo letto come una bambina, e faccio mille elucubrazioni, mille ipotesi. Ogni nuovo pensiero comincia con “e se..” Cambio completamente atteggiamento e, un attimo prima di addormentarmi, faccio il primo pensiero normale e decente dopo ore: “Sai che ti dico? Vediamo come va. Domani è un altro giorno. Se proprio vuoi evitare guai, fatti mettere su un treno il prima possibile e poi vedi di pensarci bene, ma a mente fredda.”

Mi sveglio verso le undici di un lunedì piovoso di febbraio. Sono stata una sola volta a Mantova ma in centro; ho visto il castello. La cosa che mi ricordo di più è una vetrina di pasticcere con esposta una bella sbrisolona.
Vado a spiare lui che se la dorme di gusto. Mi do un contegno e lo chiamo.
Spero che si ricordi chi sono e non mi prenda per una ladra che si è intrufolata in casa sua. Sono proprio paranoica.
“Ma ciao, buongiorno, cara! Dormito bene?”
“Oh sì, grazie, ho dormito bene.” Non è proprio la verità: avrò dormito sì e no tre ore.
“Bene. Vuoi fare la doccia? Scusa, ma come sai io non bevo caffè.”
“No, grazie, sto bene così. Il caffè non importa. Guarda, è già quasi ora di pranzo….”
“Giusto. Allora tu siediti che ti faccio un bel pranzetto”
Io protesto ma lui mi fa sedere sul divano e comincia a destreggiarsi intorno ai fornelli. Se la cava, si vede che ha fatto di necessità virtù. Tira fuori dal congelatore filetti di dentice surgelati, (però, che classe, l’uomo: io al massimo compro i bastoncini di merluzzo del capitano) apre una bottiglia di vino rosso australiano (australiano?) e dopo dieci minuti facciamo un veloce pranzo, sempre parlando.

Dopo poco siamo in centro. Io finalmente posso spararmi un’altra dose della mia amata caffeina. Guardiamo qualche vetrina.
Noto con disappunto che lui non mi ha raccontato molto di sé. Io sono logorroica, ma qualche volta mi sono imposta il silenzio per farlo parlare… ma lo stesso Jack non si è sbottonato più di tanto. Dopo un giro a piedi mi accompagna in stazione. Con molta naturalezza e soprattutto senza farmelo pesare, paga lui il biglietto del treno. Viene con me sulla banchina, mi guarda negli occhi, forse vuole dirmi qualcosa ma non lo fa. Io faccio finta di niente. Cinque minuti prima della partenza ci salutiamo, piuttosto formalmente, con i classici “baci sociali” sulle guance. Mi rendo conto che sono stata un po’ freddina ma è più forte di me. Un mio ex fidanzato una volta mi ha definita come un “diesel”. Ancora adesso non capisco se era una a cosa scherzosa o un vero e proprio insulto. A volte è meglio non sapere.

In treno finalmente mi rilasso. Ho tre ore buone per raccogliere le idee: dico, dentro di me, che è andata bene. Sono ancora tutta intera e per il momento la mia virtù è salva.
Ho finalmente incontrato, dopo anni di abulico niente, una persona interessante che non ha problemi a darsi, nel senso di aprirsi, di parlare.
Non so come definire tutta la faccenda, se una vera e propria pazzia, o una decisione presa un po’ così. Comunque sia, ne traggo un’idea positiva, ed in cuor mio spero che questo sia solo l’inizio di un qualcosa di bello per il futuro.

Seduta, con il panorama che mi scappava via dagli occhi, ho potuto respirare normalmente, dopo quasi 24 ore. Mi sono data della cretina mille e mille volte, poi ho fatto la somma di tutti gli avvenimenti e così, verso Padova, mi sono resa conto che, dopotutto, non é andata così male: ho viaggiato piacevolmente dopo anni che non lo facevo più, ho conosciuto una persona ammodo che può riservare delle sorprese… che voglio di più dalla vita? Mah. Forse, un po’ più di furbizia?
Ininfluente, LaMe, dico a me stessa. Vedi di non rompere per i prossimi mille anni, grazie. L’ho fatta addormentare in un angolo della mia coscienza e lì è rimasta.
Verso Venezia una strana euforia si è già impossessata di me, piena di aspettative e di fiducia per il futuro. Meglio che stare a vegetare sul divano a mangiare schifezze ed ingrassare per la depressione… ti pare?

Mi pare, mi pare. Ma vedi di non entusiasmarti troppo… Ehi, tu chi sei? Non sei LaMe, avrebbe già sbraitato in aramaico.
Eh, no, cara, io sono nuova: sono LaLei. Un’altra parte di te che però veniva vessata dalla LaMe e non poteva mai dire la sua…
Oddio, la mancanza di sonno mi fa avere le traveggole… LaLei? Vuoi vedere che sono proprio un caso da psicanalisi, con tanto di personalità multiple? Ma dai…. ci penserò in un altro momento. Fammi prendere cinque minuti… tanto per far riposare le idee… E’ andata a finire che ho dormito fino a un nanosecondo prima di dover scendere. Mi ha svegliato la frenata brusca del macchinista. E per fortuna, perché se arrivavo a Trieste, comunque ultima fermata del viaggio, dovevo tornare a Monfalcone chiusa nel cesso o in autostop: nel portafogli non ho nemmeno i soldi per il biglietto. Telefonare a qualcuno che mi riporti a casa e dover spiegare tutto l’ambarabaus no, troppa vergogna.
Non è successo niente, dai. Sono tornata a casa e ho dovuto sorbirmi un buon due ore di muso da parte della Neve, tipo “dove gatto sei stata tutto questo tempo? non vedi che l’acqua della ciotola è torbida?”
Leggermente viziata la tipa felina, direte voi. Noooh, sembra.

Ad ogni modo, dall’indomani di quel week end di follia, la routine si è stabilizzata sulle due-tre telefonate al giorno da parte del Jack. Quando era in macchina e si annoiava, mi chiamava. Che carino! Abbiamo parlato, e poi parlato, e poi ciacolato… non si può dire che non comunicavamo, eh?

La storia è andata avanti per quasi due mesi. Mi telefonava anche nelle situazioni più strambe, tipo una sera che lo sento un po’ poco; a bassa voce mi fa:” Scusa sono a casa di mia figlia a cena. Solo un salutino…”
“Ma, Jack, perché parli così piano? Non ti sarai mica nascosto in bagno per chiamarmi, come nei film?”
“Sì… Non ho ancora detto a mia figlia che ti ho conosciuto, e volevo comunque sentirti…”
“Ah, beh, quand’è così…”
Capito? Mi faceva le telefonate clandestine, neanche fossimo amanti… era divertente, però.
A farla breve una sera, mentre stavamo parlando, ho preso il coraggio a novantanove mani e gli ho chiesto se era disposto a venire a casa mia per un week end, giusto per avere davanti un viso e non lo schermo di un telefono.
L’imput che stava aspettando, credo: ha lasciato perdere ogni altro argomento e ha cominciato ad organizzare tutto, con un fare tipo Furio o Raniero, i personaggi rompini di Verdone, se ricordate.
“Oh, dunque: vino e olio di oliva porto io. La spesa l’andiamo a fare insieme, ovviamente. Puoi cercare qualche locale tipico, lì a Monfalcone? Potremmo andare a visitare il Collio, sai, ne approfitterei per studiare nuovi mercati… Potremmo arrivare fino a Cividale, che ne dici?”

Aveva fatto i compiti a casa, il tipinofino.
“Ok, Ran… Jack. Come vuoi. Quando pensi di venire?”
“Questo week no, gioia.” Aveva preso da un po’ di tempo a chiamarmi gioia. Giusto, io lo chiamo Jack….
“Facciamo la prox sett? Devo guardare il mio work planning, sai gioia…”
Ma parla come mangi, dai!

Insomma, viene il fatidico venerdì. Io sono già stanca perché ho pulito tutta casa, vetri compresi. Stavo dando di Mocio quando è cominciato l’incubo: il Jack si era perso appena fuori l’autostrada. Non è che ci voglia la laurea. Dall’uscita al centro di Monfie ci sono più cartelli che strada, ma non fa niente. Comprarsi un tom tom, visto che con la macchina ci lavori, no, eh? Comunque. In una mano tenevo il mocio e nell’altra il telefono. L’ho guidato per 20 minuti, dopo che aveva anche chiesto a una signora le indicazioni. (gnap!). Stavolta è riuscito a venire fin sotto la porta di casa mia, un avvenimento. Vado giù, bacini e abbracci.

“Finalmente! Dai vieni che ti aiuto con i bagagli..”
“Ma no, figurati…” Ho insistito. Apre il cofano, prende una ventiquattr’ore
dal bagagliaio… e basta!
“Scusa, Jack, ma non hai detto che portavi tu vino e olio…?”
“Tranquilla, è tutto in valigia!”

Mai sentito uno che mette roba fragile e unta in valigia, insieme ai vestiti.
Il disastro si è rivelato quando l’ha aperta, la valigia, fra l’altro una bella valigina di pregio in vacchetta cucita a mano… Il tapino aveva fatto rompere ben due litri di olio buonissimo e carissimo del lago di Garda… Almeno il vino era salvo; magra consolazione.
Morale: tutto, tutto il contenuto della suddetta valigina era ontolato, da buttare, inutilizzabile.

Da brava ospite, gli ho chiesto se aveva bisogno di qualcosa, magliette, mutande no perché lo avrei travestito da trans, coi pizzetti sui fianchi (!).
Mi ha risposto che no, non aveva bisogno di niente.
“Bene, domani lo accompagno in un negozio di biancheria e si compra il necessario”, ho pensato, come nei film…

Invece no: non ho indagato, ma credo che ha passato 3 giorni con lo stesso paio di slip, peraltro un orribile slippino bianchiccio che neanche Lino Banfi nelle sue peggiori macchiette.

Abbiamo fatto finta di niente. La doccia la faceva ogni giorno, per carità. Ma mi sembra raccapricciante lavarsi di tutto punto e poi indossare biancheria usata… rabbrividisco.

Comunque. L’indomani lo porto in centro, a fare un giro e a mostrargli un negozio di delicatessen, come mi aveva espressamente chiesto.

Era il negozio più caro di Monfie. Purtroppo lì ha incominciato a perdere punti, e di brutto. La prima sera mangiamo in una quasi bettolaccia e poi spendi 60 euri per quattro cazzate da mangiare? Il prosciutto spagnolo di cinghiale, il miele di corbezzolo, il formaggio di fossa etc.. quando sai che io fatico a mettere insieme il pranzo con la cena? A dir poco offensivo, ma tant’è.
Faccio finta di niente ed andiamo a casa. Cenette a lume di candela, con vino e cibo pregiato… ma non mi sentivo pienamente a mio agio… come mai?
L’ho portato a vedere il mare, l’ho portato nella mia spiaggia segreta a Marina Julia, dove con un po’ di fortuna riuscivi a stare soli al mare per un intero pomeriggio anche in pieno agosto. Gli ho fatto mangiare le pietanze tipiche della mia terra: ha apprezzato, devo dire.
La domenica pomeriggio cominciamo già a mancare di argomenti, lui dorme per ben 2 ore (!) nel letto come un bambinone gigante, gli mancava l’orsacchiotto.

La gatta è latitante sotto il divano. Si è imbizzarrita quando ha sentito la presenza e l’odore di un estraneo. Per fortuna ha una stanza tutta per sé, il salotto. La chiudo lì e ogni tanto devo andare a consolarla, è sull’orlo del suicidio, poverina. Credo che questa la pagherò con più di due ore di muso lungo. Pazienza, ci penserò quando sarà il momento.

Il Jack mi comunica che parte il lunedì presto, perché non si fida a guidare con il buio… Che contentezza! Un’altra notte a letto con uno sconosciuto… Lui veramente ha fatto qualche gesto per non essermi più sconosciuto, ma vi prego… più di un bacio non gli ho dato… io non la mollo tanto facilmente in giro, sapete, vecchia scuola. Ma un deterrente è stato anche lo slippino bianchiccio usaticcio…. ci pensate?

Morale: non vedevo l’ora che prendesse la sua valigina tutta unta e bisunta e se ne andasse via… Nei giorni seguenti abbiamo ripreso il nostro rapporto telefonico, ma sapevamo tutti e due che qualcosa si era inevitabilmente spezzato. Abbiamo cominciato con le migliori intenzioni; poi, una sera, è cascato il palco.
Non abbiamo litigato, abbiamo avuto SOLO qualche scambio di vedute a voce piuttosto alta….ah, quello è litigare? Quanto siete precisini, però.
Credo che mi sono bastati due giorni per mandarlo definitivamente a quel paese. Lui si è super offeso perché non gliel’ho data.
“Non so come funzia a Mantova, amico del giaguaro, ma qui a Monfie aspettiamo di conoscerci un po’, prima di farlo in orizzontale… “
“Ma se tu eri fredda come un iceberg, non si poteva avvicinarsi che diventavi di ghiaccio…”
“Mi dispiace, ma io sono fatta così, devo fidarmi di una persona prima di fare una qualsiasi mossa più impegnativa…”

E via su questi toni. Lui si è permesso di offendere, lo stronzo. A quel punto l’ho messo in rifiuto di chiamata, sempre con l’antivirus.

Che volete, mi ha deluso parecchio e pensavo di aver perso il mio tempo, oltre a essermi fatta venire un orecchio come Dumbo, a suon di telefonare… il vivavoce no, gli rimbombava nelle orecchie… e che due palle.

Prenderò per buona la frase lapidaria con la quale mia madre ha liquidato tutta la faccenda e il Jack:” Non è mai tempo perso, se tutto quello che ti succede lo fai diventare esperienza vissuta… Ti servirà per il futuro.”
La saggezza popolare non sbaglia mai. Cos’ho imparato? Meglio andare in un bar con un’amica e lasciarsi quasi-abbordare da un bel biondone, fra un aperitivo e un ammazzacaffè. Almeno lo guardi negli occhi da subito e lo puoi mandare a quel paese la sera stessa, se non ti piace… Semplice, no? Lapalissiano.

  • Sede:

    Regione Vallefredda, 1

    13867 Pray (BI)

Note:

La "Fabbrica della Ruota" è aperta al pubblico tutte le domeniche estive nell'ambito della Rete Ecomuseale Biellese, con orario 14:30 - 18:30.

Per il resto dell'anno è aperta tutti i giorni su prenotazione per gruppi.

L'accesso per ricercatori, studiosi e tesisti al Centro di Documentazione dell'Industria Tessile è possibile su appuntamento, nei seguenti orari:
lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì dalle 9:00 alle 13:00

Info e prenotazioni: 015/766221 (giovedì 9:00 - 13:00), fabbricadellaruota@gmail.com

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